Osservatorio Antimafie della Brianza*

Osservatorio Antimafie della Brianza*
I GIOVANI HANNO BISOGNO DI EROI VIVI

sabato 12 marzo 2022

 

QUESTO BLOG E' CHIUSO

PER RAGGIUNTI LIMITI

DI SOPPORTAZIONE

 DELL'INDIFFERENZA IN BRIANZA

 PER LE QUESTIONI LEGATE ALLA

 COLONIZZAZIONE DELLA

 NDRANGHETA E PER L'ILLEGALITA'

 DIFFUSA SIA FRA GLI IMPRENDITORI

 CHE NELLA POLITICA.

lunedì 15 marzo 2021

 

A Monza “urbanisticà” non fa rima con legalità

 

Nel luglio 2020, a dieci anni dall’operazione “infinito” la D.ssa Alessandra Dolci, Procuratore della DDA di Milano, in una intervista ad un settimanale monzese, fra le altre, rilascia la seguente dichiarazione, alla domanda:

Come avviene il contatto della ’ndrangheta con gli imprenditori. E quali sono i settori in cui la criminalità organizzata è più presente?


“I settori sono quello storico dell’edilizia, quello della logistica, delle cooperative di servizi, la ristorazione. Da un paio d’anni a questa parte è forte l’interesse della criminalità organizzata, soprattutto quella calabrese, alla gestione e trasformazione illecita dei rifiuti. Il reato è punito con una pena modesta, da uno a sei anni, comporta consistenti guadagni anche nel breve periodo e consente di rinsaldare legami con il mondo imprenditoriale. Cercano di stringere alleanze con gli imprenditori di quel settore: vediamo spesso soci occulti in società che gestiscono i rifiuti. Detto questo, non voglio criminalizzare le società che operano in quel settore.”

 Anche nelle relazioni semestrali della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) vengono evidenziati come gli affari nel mondo dell’edilizia dalle grandi opere, all’urbanistica, movimento terra e delle costruzioni siano particolarmente appetibili alle mafie, perché in essi sono facilmente riciclabili i proventi dalle attività illegali.

Non meno importante, sono le innumerevoli segnalazioni di imprenditori che non collaborano con la giustizia, ma si rivolgono alle mafie per risolvere i loro problemi di liquidità e di riscossione crediti. Dunque, l’urbanistica è uno dei terreni sui quali ci sono appetiti ed attenzioni da più parti. Sta di fatto che la Regione Lombardia con la legge n. 18 del 26 novembre 2019 sulla rigenerazione urbana, ha dato il via libera alla cementificazione selvaggia del territorio lombardo. In questo scenario sono stati attivati nella città di Monza una quarantina di progetti di “rigenerazione urbana” che invece di restituire un po’ di riequilibrio ambientale alla città rischiano comprometterne l’ecosistema. Sono nati molti comitati spontanei di cittadini che si oppongono a queste scelte del sindaco Allevi, e ci sono stati pronunciamenti di alcune Consulte di quartiere che hanno portato a conoscenza della cittadinanza le problematiche di questa nuova ondata di cemento in arrivo.

Ma in questa sede vogliamo affrontare la questione di chi costruisce e quali sono gli anticorpi che l’amministrazione comunale di Monza ha messo per evitare e prevenire le eventuali attenzioni dei colletti bianchi delle mafie, con i loro trolley pieni di soldi grondanti di sangue.

Verificato che il tema della legalità non ha minimamente attraversato la discussione in Consiglio Comunale, siamo stati chiamati ad attivare una attività di monitoraggio su chi fa che cosa e per conto di chi. Con questo articolo partiamo dal quartiere San Fruttuoso oggetto di due interventi rilevanti il progetto AT05 noto come i “grattacieli di via Ticino” e il supermercato Aldi su viale Lombardia. La parte dei grattacieli dovrebbe essere costruita su un bel parco, consumando suolo e negando sul nascere le intenzioni della legge 18, che per altro è stata bloccata dal TAR ed è al vaglio della Corte Costituzionale proprio per vizi di incostituzionalità. Il supermercato su un’area di proprietà privata.

 

Ma chi sono i soggetti attuatori di questi interventi? Per quanto riguarda i grattacieli dovrebbe essere una società denominata DOMA srl che nell’assetto societario è composta da altre tre società. Quindi Doma srl appare essere prestanome perché sottoscriverà la convenzione, ma non è il soggetto attuatore principale. Invece per il supermercato il soggetto attuatore, sono addirittura un gruppo di persone fisiche che in piena pandemia, dove milioni di persone denunciano difficoltà economiche e chiedono ristori e sussidi, queste signore e questi signori mettono a disposizione centinaia di migliaia di euro per costruire un supermercato in una zona dove ce ne sono già cinque.

Noi crediamo che nelle pieghe di queste iniziative di “malaurbanistica” si possano nascondere interessi diversi da quelli “nobili” di fornire strutture e servizi alla comunità. Tenendo per altro conto che a Monza ci sono più 3.000 alloggi sfitti e decine di aree dismesse che potrebbero essere restituite alla comunità attraverso, istituzione di parchi, centri di aggregazione e luoghi per la socialità culturale e sportiva. Per altro tutti interventi che sarebbero previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e che potrebbero in maniera trasparente accendere ai finanziamenti del cosiddetto Next Generation UE.

Monza, a differenza del comune di Lissone, che è il terzo comune in Italia più cementificato al 77%, può mettere nei suoi calcoli verdi il Parco di Monza, ma al netto del Parco, Monza è cementificata oltre il 70% come Lissone. Allora visto che siamo nella pianura più inquinata d’Europa e la più colonizzata dalle mafie, sarebbe opportuno che chi amministra stia più attento come gestisce e governa il territorio perché oltre alla salute dei cittadini di Monza c’è anche la questione della Legalità. E proprio nel quartiere San Fruttuoso, dove gli assassini di Lea Garofalo, vittima della ndrangheta, hanno cercato di distruggerne il cadavere bruciandolo, ci si dovrebbe muovere con più prudenza e un senso più alto di rispetto per i beni comuni.


Admin, 15 marzo 2021

martedì 23 febbraio 2021

 

MONZA. IL PARTITO DEL MATTONE HA INIZIATO LA

 CAMPAGNA ELETTORALE.

 

Solitamente le elezioni comunali la destra fascio-leghista e mafiosa le vince sfruttando tre filoni di gestione della “res-publica”. Tasse, urbanistica e sicurezza (intesa in senso sicuritario) non nel senso della protezione sociale. Così nel 2017 la destra monzese cavalcò il “malcontento” sulla presenza degli immigrati in via Asiago, nel quartiere di San Rocco riuscendo nello storico risultato, dopo 70 anni di vincere le elezioni anche nel quartiere definito “rosso” per antonomasia. Impresa storica perché gli appartamenti in cui venivano stipati i migranti erano affittati da una società che li concesse ad una cooperativa sociale che aveva l’appalto dell’accoglienza; il patron della cooperativa era grande elettore proprio dell’attuale sindaco. Quindi i cittadini di San Rocco, spalleggiati strumentalmente da fascisti e dai leghisti, attaccavano la giunta Scanagatti; così i loro mentori, di giorno facevano le manifestazioni anti immigrati e di notte si prendevano i soldi dello Stato per l’accoglienza.

Nella primavera del 2022 a Monza si voterà per il nuovo consiglio comunale e relativo sindaco. Dalle recenti discussioni emerse nell’assise comunale sul PGT e le sue varianti, la destra monzese ha fatto proprie le aspettative cementificatorie dei costruttori monzesi e non. Un nuovo tormentone elettorale attorno al quale aggregare le associazioni imprenditoriali di categoria. Un esplicito quanto gigantesco voto di scambio fra cementificazione della città e consenso elettorale. A tale scopo sono iniziate nelle Consulte cittadine le schermaglie con i vari comitati di cittadini (vedasi comunicato stampa del Coordinamento Comitati cittadini del 12 febbraio 2021) che leggendo carte e delibere vedono prendere forma il progetto devastante voluto da Allevi e dai manager del mattone. Quindi dalla vicenda dell’ex cotonificio Scotti, ai grattaceli a San Fruttuoso alla vicenda di Asfalti Brianza, per citarne solo alcune, si capisce quale siano le alleanze politiche ed economiche che sindaco, Lega, FdI, succedanei e lacché di varia natura, intendono attivare per continuare a governare la città dal 2022 all 2027. Cinque anni per finire il lavoro; per compiere il cosiddetto “sacco della città”.

Scomodarsi nello spiegare la scarsa lungimiranza di questi amministratori è tempo perso, quando verifichi che piccoli costruttori, con concessioni ad edificare per due piani, vendono appartamenti in condomini che propagandano invece di quattro piani. Ed è talmente sfacciata l’azione di questi “imprenditori” che non aspettano nemmeno l’attuazione delle varianti ma come, i venditori di pentole (massimo rispetto) si lanciano nel business. Tanto però è bastato per convincere i giudici del TAR Lombardia a bloccare la legge regionale sulla cosiddetta “rigenerazione urbana”.

Così per incanto in alcuni quartieri, qui trattiamo la situazione di San Fruttuoso, esplode la partecipazione alla vita delle Consulte di Quartiere. Un fatto sicuramente positivo, ma con risvolti inquietanti. Così scopri che questa insorgente volontà partecipativa anima soggetti legati proprio al mondo dell’edilizia che fanno da gruppo di tallonamento per anonimi cercatori di gloria nel campo dello sport e del “burraco”. Dal 2018 la Consulta del Quartiere San Fruttuoso ha puntualizzato in verbali dei suoi lavori, oppure in lettere aperte all’amministrazione, le priorità del quartiere che non hanno mai trovato risposta (centro civico, biblioteca, ambulatorio sanitario e una piazza). Recentemente è emersa la necessità, sollevata da alcune società sportive, di avere anche un nuovo “impianto sportivo comunale”. Pur non essendo una indicazione assunta dalla Consulta, e certamente condivisa da molti, per magia sbucano soldi e i terreni su cui costruire, Centro Civico e palazzetto comunale.

Così la corte dei miracoli, che ruota attorno all’assessorato allo sport Arbizzoni (tutor del gruppo di nazisti di “lealtà e azione”) e a quello dell’urbanistica Sassoli, ha trovato risorse economiche e territoriali per soddisfare l’allegra congrega dei destrossi di quartiere; oggi gruppo di pressione, domani fanclub elettorale. Tutte le priorità dell’organismo comunale deputato, la Consulta di quartiere, sono finite in coda o nei cestini; vi domanderete perché? Perché molto casualmente le aree su cui dovrebbe sorgere il palazzetto dello sport e il centro civico sono contigue ai terreni su cui Allevi e soci vogliono permettere la costruzione di ulteriore edilizia residenziale ad alta quota, con anche grattacieli. Del resto, tutti lo sanno che Monza da decenni vuole la sua “Défense” e i suoi “boschi verticali”. Ma il caso vuole che la Consulta, in precisi pronunciamenti nel 2020, abbia manifestato profondi dubbi e perplessità sulla “colata di cemento” del “progetto Ticino” chiedendo chiarimenti e un confronto coi cittadini, mai avviati dall’amministrazione. In compenso la Coordinatrice della Consulta Giustina D’Addario è stata oggetto di minacce via Facebook e continui atti di stalkeraggio da parte di esponenti nuovi iscritti alla Consulta. Poco sono valse le distanze prese dall’assessore alla partita Arbizzoni dagli ultras del cemento a San Fruttuoso. Appare sin troppo evidente il tentativo in atto di delegittimare la Coordinatrice dell’attuale Consulta per averne una docile ai voleri della banda del mattone.

Per questo sorge spontaneo il sospetto sul cosiddetto “voto di scambio” dove alla carota del centro sportivo corrisponde il bastone della colata di cemento in una zona già congestionata e anche ambientalmente compromessa. Per anni i cittadini di San Fruttuoso e Triante si sono battuti per avere il tunnel sotto viale Lombardia allo scopo di ridurre traffico e l’inquinamento. Tutto sarebbe inutile se passeranno questi progetti che prevedono circa 300 nuovi appartamenti e quello che questo comporta. Dunque, Immobiliaristi e palazzinari, spalleggiati dall’amministrazione Allevi sono in movimento, utilizzando la greppia delle associazioni sportive nella quale poi andare a brucare consenso elettorale.

Ma potrebbe esserci anche dell’altro viste, le ultime dichiarazioni di un’autorevole Magistrato della DDA di Milano, visto che Monza e Brianza sul versante della gestione del territorio hanno fatto scuola in tutta la regione e in Italia: https://www.wordnews.it/seregno-i-grandi-immobiliaristi-fanno-affari-con-la-ndrangheta-perche-conviene?fbclid=IwAR2PUQYjfbFA0f1h-2svH_UBiMO5qYjKXAXWF5fFxTSSbtCmZZ7eFvLbeqA

 

Admin, 23 febbraio 2021

giovedì 27 agosto 2020

 

Libro inchiesta


"L'onda nera nel Lambro"


Il caso Lombarda Petroli e lo sversamento abusivo di idrocarburi nel fiume Lambro

Autore Marco Fraceti

Prefazione di Vittorio Agnoletto

Recensione di Laura Tussi e Fabrizio Cracolici

Mimesis Edizioni

 

“L’onda nera nel Lambro. Il caso Lombarda Petroli e lo sversamento abusivo di idrocarburi” è un importante libro di inchiesta scritto dall’amico Marco Fraceti di cui ci ha fatto personalmente dono con una dedica che dimostra tutta la sua stima, per continuare a credere in “un altro mondo possibile”, parafrasando e ricollegandosi alla vita di impegno e sacrificio del nostro comune amico Vittorio Agnoletto. 

Vittorio Agnoletto, medico in prima linea contro lo strapotere e le ingiustizie perpetrate dalla giunta della regione Lombardia, ha scritto la prefazione di questo libro che denuncia e racconta, attraverso una narrativa che esplica con forza e coraggio le vicende di un territorio dominato dalla malavita, inquietanti domande sui perché del “mondo di mezzo” che purtroppo ostacola prepotentemente la pace, il destino e la vita del nostro martoriato paese. 

L’autore Marco Fraceti è giornalista e scrittore impegnato in inchieste sulle infiltrazioni mafiose in terra di Brianza. Ha collaborato con Radio Popolare e è direttore dell’Osservatorio Antimafia di Monza e Brianza intitolato a Peppino Impastato. Fraceti racconta e denuncia che nella notte tra il 22 e il 23 febbraio 2010 una consistente, una mortifera, una abnorme onda nera, una quantità di tremila tonnellate di idrocarburi si riversa nel fiume Lambro, fuoriuscendo dai serbatoi di una azienda, la Lombarda Petroli a Villasanta, in provincia di Monza e Brianza.

In quella terribile e devastante notte, avviene uno degli scempi ambientali più disastrosi e gravi del nostro paese e il tutto con l’assenza di responsabilità e responsabili ancora ad oggi.

Marco Fraceti percorre indagini tramite piste non ancora battute che illuminano una vicenda davvero molto intricata, dove non si riescono a trovare i responsabili e a capire chi è stato e a dare risposte certe e concrete e attendibili. L’Autore effettua un’inchiesta autonoma e un’indagine parallela a quella svolta dalla Magistratura perché non si sofferma sulle apparenze e sulle risposte semplicistiche e non presta attenzione alle casualità e alle coincidenze. Con un impegno di indagine meticoloso e metodico e puntuale, l’autore verifica e analizza l’immane quantitativo di testimonianze e dati raccolti negli archivi e nei fascicoli giudiziari e li sovrappone con informazioni sul campo e con un’ampia mole di documenti e fascicoli di archivio provenienti da ulteriori inchieste giudiziarie condotte contro la criminalità organizzata nello stesso territorio: la Brianza. Dalle indagini dell’autore risulta, trapela e si pone in rilievo una impressionante cartina di tornasole di collusioni tra illegalità, politica e bieche manovre affaristiche che deviano e disturbano una condizione di pace nella vita della benestante provincia brianzola, in apparenza tranquilla e serena. 

Marco Fraceti dedica il libro alle ragazze e ai ragazzi di Fridays For Future che con le loro azioni e il loro altruismo e attivismo costituiscono un’alternativa vera, valida e costruttiva per un mondo, una madre terra e per un’umanità sull’orlo del tracollo e del collasso.


a cura di Laura Tussi e Federico Cracolici

venerdì 24 luglio 2020



“MONZA CONSAPEVOLE” E LA FAVOLA DEI TEST SIEROLOGICI.

Presentata in pompa magna come una iniziativa caritatevole di bravi imprenditori monzesi tutto casa, lavoro e chiesa (spesso si vedono ai semafori che aiutano le vecchiette ad attraversare) la vicenda dei test sierologici sta assumendo i contorni della camarilla alla monzese dove politici, imprenditori, multinazionale, associazioni e luminari della scienza e della sanità se la cantano e se la suonano fra loro; in testa a tutti il sindaco Allevi.
Partita per essere una campagna di test per 8000 persone si è ridotta a circa 3000. Inoltre, alle persone che si offrivano volontarie (il test era gratuito) veniva fatto firmare un modulo di consenso nel quale era scritto chiaro che il test era per valutare la presenza di anticorpi IGG e IGM. Ma quando il volontario riceveva l’esito si trovava solo l’esito di un anticorpo l’IGG. Secondo la delibera regionale in materia di test sierologici n. 3131 del 12 maggio 2020 i test DEVONO essere effettuati con tutti e due gli agenti IGG e IGM. Ma sappiamo che gli amici della pirellone chiudono un occhio sulle comparsate monzesi, visto poi che la regione patrocina il tutto.
In questo fragore di applausi, strette di mano e pacche sulle spalle, e tutta la stampa cittadina con la lingua di fuori, noi ci poniamo invece delle domande alle quali cercheremo di dare una risposta.
Premesso che i costi dei test solo IGG sono di 35,00€ + 5,00€ di prelievo (tot. 40,00€), mentre quelli completi costano 62,50€ + 5,00€ (tot. 67,50) secondo il tariffario della società che ha fatto i prelievi; questo sta a significare che i benemeriti imprenditori avrebbero disposto un impegno di spesa per 8000 test di 540.000,00€. Se invece, come si evince dalla grancassa mediatica i test sono stati circa 3000 per un costo di 40,00€ cad, a consuntivo dovrebbero essere stati spesi 120.000,00€. La prima domanda che facciamo è: ma con tutti questi imprenditori che piangono miseria, ci sono quelli brianzoli che invece caritatevolissimevolmente sborsano una somma importante?
Alla fine, quanti test sono stati fatti? Perché prima 8000 e poi 3000? Quanto sono costati?
Non vorremmo che in realtà tutta questa caritas sia una sorta di autoriciclaggio di denari che poi verranno dichiarati come “donazioni liberali” che alleggeriscono l’esborso delle tasse. Questi signori da strapazzo pensano che, solo perché sono donazioni e loro sono privati, possono fare quello che vogliono e non devono sottostare a criteri di trasparenza e di legalità, visto che i test non seguono la normativa vigente. Un po come l’ospedale alla Fiera di Milano; in effetti c’è coerenze e continuità con la malapolitica e la malasanità lombarda.
Al nostro comunicato stampa, che denunciava i fatti sopra esposti, non è stato dato nessun risalto ma lo sapevamo. Ma ora la questione è arrivata in Consiglio Comunale con una interrogazione della Consigliera Pontani. Vedremo le risposte ai rilievi mossi.
Morale, siamo alle solite: la politica del Palazzo gongola, i poteri forti sempre più forti, e i cittadini fanno le cavie senza avere un reale beneficio, il tutto benedetto dal solito cardinale. Dimenticavo che il test, secondo le menti malate che li hanno pensati, è l’unico caso in Italia. Ne siamo certi perché sono gli unici fatti così e per questo non sono validati dal sistema sanitario nazionale perché non rispettano le linee guida del Ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità e della Regione Lombardia. Dunque, sembrano soldi investiti per altre ragioni, ma non quelle umanitarie e sanitarie.


L’admin, 24 luglio 2020

domenica 28 giugno 2020



STRAGE DI USTICA.

81 morti sull’aereo ITAVIA e 12 morti assassinati tra il 1980 e il 1995

Venerdì 27 giugno 1980 un aereo passeggeri della compagnia ITAVIA, decollato dall’aeroporto di Bologna Borgo Panigale, fa rotta verso Palermo con 81 persone a bordo fra equipaggio e passeggeri in gran parte vacanzieri.

L’aeromobile Douglas DC9 dell’Itavia, all’altezza dell’isola di Ustica, esplode in volo e per gli occupanti non c’è scampo; non ci saranno superstiti. A guardare cosa accade in cielo, quando un aereo civile è in volo ci sono, almeno sulla rotta Bologna-Palermo i radar di Poggio Ballone vicino a Livorno, Licola (Campania) e Marsala (Sicilia). Ma quella sera, in quel tratto di celo successe qualcosa che richiedeva il funzionamento di radar della marina militare italiana, francese (Aleria in Corsica) e quello della portaerei Saratoga ormeggiata nel porto di Napoli. Inoltre, dai riscontri nei vari livelli di processo, è emerso che vi era una forte attività di comunicazioni via radio sia fra l’equipaggio del Dc9 e le torri di controllo e anche con altri aerei in volo, nel caso specifico l’F104 con a bordo i colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelli. Saranno proprio loro a lanciare l’allarme su cosa stava accadendo nei cieli di Ustica.

Nelle ore seguenti, dopo lo sgomento dei fatti e il cordoglio per le vittime, appare chiaro che si affronteranno due correnti di pensiero sulla vicenda: una per fare luce sui fatti e l’altra per nasconderli. Dato che oltre ai familiari e qualche giornalista ficcanaso, non c’era nessuno che interessava capire cos’era successo quella notte nei cieli di Ustica; coloro i quali che invece volevano tacitare tutto furono gli inquirenti, la magistratura e i vertici dell’aeronautica italiana e Nato. Uno scontro impari che portò ad impedire, sino a d oggi, che la verità storica diventasse verità giudiziaria. A fare da scudo umano alla necessaria verità ci saranno i vertici dei servizi segreti militari e l’allora capo stato Francesco Cossiga che, nel pieno delle sue funzioni (il Presidente della Repubblica è anche capo delle forze armate, art. 87 della Costituzione) operò per sostenere le tesi dei vertici militari. Solo dopo si scoprirà essere il capo della Gladio e del gruppo Nato “Stey Behind”, nonostante le frettolose smentite. E con il “senno di poi” appare tutto più chiaro

La costanza, la tenacia dei familiari delle vittime e di qualche media televisivo e non, si arriva a nuovi processi che vedono protagonisti magistrati che non si facevano intimorire dalla pervasiva arroganza delle gerarchie militari spalleggiate dai massimi vertici dello Stato. Cosi le inchieste cominciano a prendere in considerazioni diverse ipotesi alternative a quella dell’accomodante circostanza del: “cedimento strutturale” dell’aeromobile DC9.

Nel frattempo, al silenzio e alla non collaborazione dei vertici dell’aeronautica italiana e non pare venga eseguito l’ordine non solo di far sparire carte e tracciati radar, ma anche testimoni scomodi. Ma nel silenzio generale della stampa mainstream irrompe un Deputato di Democrazia Proletaria, Luigi Cipriani membro della Commissione Parlamentare sulle Stragi, il quale sostenendo la tesi dell’abbattimento del DC9 durante una battaglia aerea, nella quale venne lanciato un missile che colpì l’aeromobile dell’Itavia. A sostegno della sua tesi portò i tracciati del radar di Poggio Ballone e le registrazioni radio delle comunicazioni fra i colonnelli Naldini e Nutarelli. Nei tracciati (originali) si vedevano chiaramente che attorno al DC9 c’erano più velivoli e nelle registrazioni i piloti del F104 segnalano che nella zona da loro pattugliata erano in corso delle esercitazioni con aerei militari in volo.

Ignari, i piloti del DC9 e dell’F104 hanno assistito ad una vera battaglia aerea fra aerei Nato e Mig dell’aviazione libica di scorta al colonnello Gheddafi. Da tempo gli Stati Uniti e la Francia avevano nel mirino il capo della Libia e probabilmente quello fu un tentativo fallito, ma che distrusse la vita di 81 persone. Anche nel 1986 gli USA attaccarono invano la Libia allo scopo di eliminare il colonnello ma non ci riuscirono. Per tanto la tesi del deputato demoproletario era tutt’altro che una “fantasia complottarda” come venne definita da alcuni esponenti della commissione. A distanza di 40 anni ora la tesi del missile prende consistenza, ma le prove per dimostrarlo sono state tutte distrutte.

Dal giorno seguente iniziò una silenziosa ed invisibile strage di testimoni. Chi sono? Per brevità ci affidiamo alla ricostruzione fatta da Wikipedia:

  •           maresciallo Mario Alberto Dettori: trovato impiccato il 31 marzo 1987, in un modo definito dalla Polizia Scientifica innaturale[117], presso Grosseto. Mesi prima, preoccupato, aveva rovistato tutta la casa alla ricerca di presunte microspie[117][121]. Vi sono indizi che fosse in servizio la sera del disastro presso il radar di Poggio Ballone (GR) e che avesse in seguito sofferto di «manie di persecuzione» relativamente a tali eventi. Confidò alla moglie: «Sono molto scosso... Qui è successo un casino... Qui vanno tutti in galera!»[122]. Dettori confidò con tono concitato alla cognata che «eravamo stati a un passo dalla guerra». Tre giorni dopo telefonò al capitano Mario Ciancarella e disse: «Siamo stati noi a tirarlo giù, capitano, siamo stati noi [...]. Ho paura, capitano, non posso dirle altro al telefono. Qui ci fanno la pelle»[123]. Il giudice Priore conclude: «Sui singoli fatti come sulla loro concatenazione non si raggiunge però il grado della prova».
  •        maresciallo Franco Parisi: trovato impiccato il 21 dicembre 1995, era di turno la mattina del 18 luglio 1980, data del ritrovamento del MiG libico sulla Sila. Proprio riguardo alla vicenda del MiG erano emerse durante il suo primo esame testimoniale palesi contraddizioni; citato a ricomparire in tribunale, muore pochi giorni dopo aver ricevuto la convocazione. Non si riesce a stabilire se si tratti di omicidio.[87][124]
  •       colonnello Pierangelo Tedoldi: incidente stradale il 3 agosto 1980[124]; avrebbe in seguito assunto il comando dell'aeroporto di Grosseto.
  •       capitano Maurizio Gariinfarto, 9 maggio 1981; capo controllore di sala operativa della Difesa Aerea presso il 21º CRAM (Centro Radar Aeronautica Militare Italiana) di Poggio Ballone, era in servizio la sera della strage. Dalle registrazioni telefoniche si evince un particolare interessamento del capitano per la questione del DC-9 e la sua testimonianza sarebbe stata certo «di grande utilità all'inchiesta», visto il ruolo ricoperto dalla sala sotto il suo comando, nella quale, peraltro, era molto probabilmente in servizio il maresciallo Dettori. La morte appare naturale, nonostante la giovane età.
  •        Giovanni Battista Finettisindaco di Grosseto: incidente stradale; 23 gennaio 1983. Era opinione corrente che avesse informazioni su fatti avvenuti la sera dell'incidente del DC-9 all'aeroporto di Grosseto. L'incidente in cui perde la vita, peraltro, appare casuale.
  •        maresciallo Ugo Zammarelli: incidente stradale; 12 agosto 1988. Era stato in servizio presso il SIOS di Cagliari, tuttavia non si sa se fosse a conoscenza d'informazioni riguardanti la strage di Ustica, o la caduta del MiG libico.
  •       colonnelli Mario Naldini e Ivo Nutarelliincidente di Ramstein, 28 agosto 1988[125]. In servizio presso l'aeroporto di Grosseto all'epoca dei fatti, la sera del 27 giugno, come già accennato, erano in volo su uno degli F-104 e lanciarono l'allarme di emergenza generale. La loro testimonianza sarebbe stata utile anche in relazione agli interrogatori del loro allievo Algo Giannelli[105], in volo quella sera sull'altro F-104, durante i quali, secondo l'istruttoria, è «apparso sempre terrorizzato»[126]. Sempre secondo l'istruttoria, appare sproporzionato - tuttavia non inverosimile - organizzare un simile incidente, con esito incerto, per eliminare quei due importanti testimoni.[127]
  •         maresciallo Antonio Muzioparricidio, 1º febbraio 1991[128]; in servizio alla torre di controllo dell'aeroporto di Lamezia Terme nel 1980, poteva forse essere venuto a conoscenza di notizie riguardanti il MiG libico, ma non ci sono certezze.
  •       tenente colonnello Sandro Marcucci: incidente aereo; 2 febbraio 1992. Marcucci era un ex pilota dell'Aeronautica militare coinvolto come testimone nell'inchiesta per la strage di Ustica. L'incidente fu archiviato motivando l'errore del pilota. Tuttavia, nel 2013 il pm di Massa Carrara, Vito Bertoni, riaprì l'inchiesta contro ignoti per l'accusa di omicidio. L'associazione antimafia “Rita Atria” denunciò che l'incidente non fu causato da una condotta di volo azzardata, come sostennero i tecnici della commissione di inchiesta, ma probabilmente da una bomba al fosforo piazzata nel cruscotto dell'aereo[129].
  •       maresciallo Antonio Pagliara: incidente stradale; 2 febbraio 1992. In servizio come controllore della Difesa Aerea presso il 32º CRAM di Otranto, dove avrebbe potuto avere informazioni sull'abbattimento del MiG. Le indagini propendono per la casualità dell'incidente.
  •       generale Roberto Boemio: omicidio; 12 gennaio 1993 a Bruxelles[130]. Da sue precedenti dichiarazioni durante l'inchiesta, appare chiaro che «la sua testimonianza sarebbe stata di grande utilità», sia per determinare gli eventi inerenti al DC-9, sia per quelli del MiG libico. La magistratura belga non ha risolto il caso.
  •       maggiore medico Gian Paolo Totaro: trovato impiccato alla porta del bagno, il 2 novembre 1994. Gian Paolo Totaro era in contatto con molti militari collegati agli eventi di Ustica, tra i quali Nutarelli e Naldini[131]."



Possiamo scrivere, senza paura di essere smentiti, che i 40 anni da quel 27 giugno 1980 sono serviti non per cercare la verità, ma per nasconderla. Ma abbiamo il diritto e il dovere morale, per le vittime e per i loro famigliari, di continuare a pretendere giustizia e verità.

Per ulteriori approfondimenti sulla vicenda Ustica:

admin, 28 giugno 2020

martedì 2 giugno 2020


L’immunità del gregge…..in  Parlamento



Quando nel 1946 venne promulgata la Carta Costituzionale della Repubblica Italiana all’articolo 68 normava, a tutela dei rappresentanti del Popolo nei due rami del Parlamento, la possibilità di processare i parlamentari essenzialmente per le loro idee e per l’attività che svolgevano nelle aule parlamentari. Così facendo venne introdotta la “Commissione Parlamentare per le autorizzazioni a procedere” che avrebbe, e ha tutt’ora, dovuto vagliare le richieste della Magistratura sulle richieste di procedere contro questo o quel parlamentare.
Fino agli anni 80 questo istituto, dell’immunità parlamentare, venne usato in maniera cogente e anche durante “tangentopoli”, permise ai Magistrati di “mani pulite” di perseguire una politica devastata dalla corruzione.  Si arrivò addirittura alla paradossale situazione che nel Parlamento italiano un deputato della Lega Nord sventolò un cappio (tal Orsenigo) a significare un giustizialismo universale, negato appunto dalla Costituzione.
Negli anni ’90, con l’arrivo al potere di soggetti legati alle organizzazioni criminali, come Silvio Berlusconi, che nel 1994 viene eletto premier, si inaugura la stagione della fuga dei politici dai processi (Previti, Mancuso e dell’Utri) cioè: non più la difesa dei politici nei processi, ma la fuga dei politici dai processi. Con una evidente e plateale ammissione di colpa.
Una stagione macchiata dal sangue di uomini fedeli alla Stato, di civili inermi assassinati da “cosa nostra” in decine di stragi (Capaci, D’Amelio, Georgofili, PAC etc…). La mafia quale esecutore materiale, ma con il mandato di soggetti infedeli dello Stato, annidati nel sottobosco del governo e dell’amministrazione statuale.
Oggi nel parlamento italiano sono decine le persone indagate, sotto processo e queste persone possono legiferare e decidere anche in materia giurisdizionale, in un evidente conflitto di interessi.
Così in questi giorni un ex ministro della Repubblica, che aveva ricoperto l’incarico al Ministero degli Interni, è riuscito a farla franca e ha ottenuto, almeno in Commissione, la non autorizzazione a procedere richiesta dalla Magistratura di Palermo, per i reati di “sequestro di persona” e “abuso d’atti d’ufficio, nell’ambito dei fatti e degli accadimenti relativi alla nave di salvamento delle persone in mare “Open Arms”
Così quella norma costituzionale pensata a tutela dei parlamentari, per garantire la loro libertà di pensiero e di azione nelle aule del Senato e della Camera della Repubblica, è diventata una garanzia che la “legge non è uguale per tutti”;  garantendo l’impunità a decine di persone che hanno commesso gravi reati contro il patrimonio, i beni comuni e spesso in associazione con le organizzazioni criminali.

admin - Monza, giugno 2020